Ci sono giorni in cui la bella frase che il Naga di Milano usa come exergo sul suo sito, esprime perfettamente la mia esperienza di socia e volontaria di Mantova solidale.

Il Naga sul suo sito fa scorrere queste parole

DA 30 ANNI CI ARRICCHIAMO CON GLI IMMIGRATI*
*perché le loro storie e la loro forza sono la nostra ricchezza.

https://www.naga.it/

E questo è esattamente quello che ho provato e condiviso con altri amici italiani domenica 15 gennaio. Provo a raccontarlo, certa di non riuscire a rendere la ricchezza di ogni momento.

Ide Maman, musicista e poeta, Youssouf Sissako, pacato ed efficace coordinatore del gruppo, Karim Sowe e Tijan Gassama, gli ultimi due in accoglienza in un appartamento di Mantova Solidale, hanno fondato un gruppo musicale dal nome bizzarro, Black Afrique Fluxus. Le prime due parole indicano l’appartenenza d’origine, sottolineando la diversità delle provenienze – paesi anglofoni e paesi francofoni –, Fluxus fa riferimento sia ai flussi di fuga dei migranti che al noto movimento di sperimentazione artistica nato negli anni ’50 e ispirato al musicista John Cage e ad altre figure dell’avanguardia teatrale e figurativa. Questa parte del nome nasce dall’incontro fra i musicisti africani e alcuni musicisti italiani con un prestigioso curriculum accademico e con una grande inclinazione a sperimentare i più arditi linguaggi sonori legati anche alla musica elettronica: il violoncellista Nicola Baroni, che da più di un anno lavora con i rifugiati di origine africana, e il chitarrista Federico Mosconi.

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Nello spazio sociale della Boje, che accoglie ogni volta le lunghe sedute di prova, i tamburi e le vibrazioni degli strumenti a corda si combinano con complessi marchingegni elettronici che producono inedite fusioni sonore che si visualizzano anche con dei sensori collegati alle mani dei danzatori. Ascolto e guardo incantata: divertimento e rigore negli occhi dei musicisti, impegnati tra tradizione e ardita sperimentazione. Quando i giovani africani prendono in mano anche violoncello e chitarra l’inedito raggiunge punte a volte molto alte.

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Li lascio alla loro musica per incontrare in un paio d’ore Mody Sissoko, maliano, appassionato di beni artistici, che deve prepararsi per una conferenza che terrà a marzo alla Biblioteca di Mantova. Non dimenticherò mai che questo giovane uomo, poco dopo essere sceso dal pullman che lo portava a Mantova dopo lo sbarco e una prima sosta in un centro di prima accoglienza, ancora stordito per il viaggio tremendo, ha sgranato gli occhi vedendo piazza Sordello e mi ha chiesto in francese: “Ma questa città è patrimonio Unesco?”.  E’ uno molto preciso Mody, uno che ha bisogno di “portarsi avanti” e ogni tanto mi chiede di fare il punto con lui sulla preparazione dell’evento. L’argomento è impegnativo: i diritti umani in Mali tra la carta costituzionale di Kouroukan Fuga del 1235 e oggi. Non è questa la sede per raccontare come un grande imperatore del Mali, Sundjata Keita, abbia emanato una sorta di anticipazione assoluta della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, alla quale l’Occidente arrivò solo dopo le tragedie della Seconda guerra mondiale. Mody va in biblioteca, cerca libri, studia e scrive pagine e pagine di appunti in un francese perfetto. Confuta con garbo le mie obiezioni (“Ma Sundjata era musulmano, quindi anche l’Islam ha prodotto grandi forme di democrazia”, dico io. “Definire musulmano Sundjata è un’approssimazione, in realtà era ancora animista”, mi fa notare il mio interlocutore, che è un musulmano osservante ma anche un intellettuale molto preciso). Fra un tè alla menta e un giro di biscotti, la conversazione si sviluppa col contributo di altri due amici, un maturo intellettuale mantovano e Mamadou, un giovanissimo richiedente asilo maliano, amico di Mody.

Alla fine della giornata io e Primo, l’amico italiano che assisterà anche all’ultima parte delle prove musicali, ci guardiamo chiedendoci se non sia miope per i paesi europei non trattenere e potenziare la ricchezza e l’energia di questi cervelli in fuga.

Maria Bacchi

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